Ropporto sullo stato dei diritti in Italia 2020: il dritto all’abitare in pandemia

L’anno appena trascorso ha visto la maggior parte degli sforzi governativi concentrarsi, giustamente, sul contrasto alla pandemia e ai suoi effetti socio-economici. Vi è stata una erogazione straordinaria di contributi all’affitto, 200 milioni di euro da parte del MIT, a cui si sono aggiunti i contributi straordinari regionali e comunali: un importante segnale in controtendenza rispetto agli ultimi anni, durante i quali i sussidi sono stati di fatto azzerati. Al tempo stesso il blocco degli sfratti, avviato a marzo 2020 e previsto fino a fine giugno 2021, ha di fatto congelato la situazione della pressione abitativa. Ma cosa accadrà dopo quella data non è dato sapere. La maggior parte delle analisi socio-economiche convergono nell’identificare la fascia di popolazione già colpita dalle due precedenti crisi, del 2008 e del 2011, come quella che avrà le ripercussioni maggiori dalla crisi pandemica. La Banca d’Italia stima che nel primo quintile reddituale della popolazione – fino a 15mila euro annui – la percentuale della popolazione in affitto sia il 45 per cento(1), per Istat sono addirittura il 47 per cento. Percentuali che decrescono con l’aumentare del reddito – fino ad arrivare al 7 percento in affitto nella fascia di reddito più elevata – a testimoniare come il problema casa sia particolarmente sentito dai working poor, una fascia di disagio attualmente poco considerata. Le primi analisi sugli effetti della pandemia non sono certo confortanti: il Censis stima che 7 milioni e 600mila italiani hanno visto un peggioramento del proprio tenore di vita, mentre Caritas ha visto raddoppiare gli accessi alle proprie strutture assistenziali in questo periodo. L’incremento della povertà determinata dalla pandemia avrà di sicuro ripercussioni nel settore della casa, acutizzando situazioni di disagio e cronicizzando quelle emergenziali. In questo quadro l’Italia rischia un forte aumento delle diseguaglianze, un fenomeno già in atto prima della pandemia. Secondo la Banca d’Italia negli ultimi anni è aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi che, misurata dall’indice di Gini, è tornata in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso. In questo scenario si innesta la nuova crisi pandemica, dalla durata e dai tempi incerti. Fra i vari rapporti e documenti redatti quest’anno e citati più avanti nel testo – Agenzia Entrate, Istat, Ministero dell’Interno, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti– ve n’è stato uno di particolare rilievo: la Delibera 9/2020 della Corte dei Conti. Sebbene mirata ad analizzare l’erogazione dei contributi all’affitto, il documento traccia un quadro generale delle politiche abitative negli ultimi anni e fornisce, una volta per tutte, un chiaro inquadramento normativo del diritto alla casa: “A livello nazionale i bisogni abitativi, oggetto delle politiche abitative, non risultano dotati di un’espressa tutela costituzionale al pari di altri diritti come quello alla salute (art. 32) o il diritto al lavoro (art.35), sebbene la giurisprudenza costituzionale ne abbia riconosciuto la valenza di diritto sociale attinente alla dignità e alla vita di ogni persona (cfr. ex plurimis sentenze n. 106/2018, n. 28/2003 e n. 520/2000). Analogamente agli altri diritti sociali anche il diritto all’abitazione risulta, tuttavia, “condizionato” finanziariamente e non ha ottenuto, come accaduto invece per il diritto alla salute, una parametrazione in termini di livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale”.(2) In merito al godimento dei diritti la stessa delibera chiarisce un nodo che negli ultimi anni aveva generato contenziosi tra Regioni, Comuni e rappresentanza sindacale, quello dei requisiti di accesso degli stranieri all’alloggio pubblico: “Con riferimento specifico ai requisiti che i cittadini debbono possedere, per poter accedere ai contributi statali, alcune Regioni hanno previsto che i richiedenti che non siano cittadini Ue debbano aver risieduto continuativamente in Italia da almeno 10 anni e da cinque nella stessa regione (Piemonte, Friuli V. Giulia, Basilicata) e in certi casi (Veneto, Liguria, Umbria, Marche e Sicilia) facendo esplicito riferimento all’art. 11, c. 13 d. l. 25 giugno 2008, n. 112, norma dichiarata incostituzionale dalla citata sentenza n. 166 del 2018. L’accesso dei beneficiari a provvidenze riguardanti diritti sociali, deve essere in linea con le norme comunitarie in materia (v. direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003) che escludono disparità di trattamento fra cittadini europei e i cd. “soggiornanti di lungo periodo” (ex art. 9, d.lgs. n. 286/1998), ovvero coloro i quali, pur essendo cittadini di Paesi terzi, dimostrino di aver soggiornato legalmente ed ininterrottamente nel territorio Ue da almeno 5 anni, in quanto titolari di Carta blu e pertanto di avere diritto alle medesime prestazioni sociali dei cittadini dell’Unione europea”. Il diritto alla casa è un diritto economicamente condizionato, pertanto la cittadinanza ne può usufruire soltanto in base alle disponibilità di risorse pubbliche. Pertanto, data una disponibilità di risorse economiche, si tratta di un diritto condizionato anche dalla capacità di spesa da parte della pubblica amministrazione e dall’efficienza degli strumenti messi in campo poiché a parità di spesa questi fattori possono fare grande differenza. Nei prossimi paragrafi prenderemo in analisi le principali novità dell’anno appena trascorso riguardo gli strumenti messi in campo e i principali fondi destinati all’abitare, evidenziando anche le criticità.

Leggi il testo integrale al link Rapporto Diritti: il diritto all’abitare 2020

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